mercoledì, marzo 04, 2015

I Love You, Honeybear (Father John Misty)


La prima cosa che ho scoperto grazie a I Love You, Honeybear di Father John Misty è che il termine lothario in lingua inglese si usa per indicare un seduttore senza scrupoli. L'origine risale a un personaggio minore del Don Chisciotte e la ricorrenza negli articoli su Father John Misty è sospetta. Potrebbe essere la replica un po' pigra di una definizione usata da Pitchfork in un articolo-intervista del 2014; o la ripetizione, altrettanto pigra, di una parolina piazzata in un comunicato stampa. Non saprei. Però tenetene conto, soprattutto se vi trovate in America e qualcuno vi dice che la vostra ragazza sta parlando con un lothario.

Ma il Father John Misty seduttore impenitente è quello del passato. In particolare, del precedente e sembra piuttosto libertino album Fear Fun (2012). In I Love You, Honeybear a cantare è tutt'altro Father John Misty: l'innamorato. Tanto innamorato. Al punto da raccontarci – passo dopo passo – la storia della sua relazione con Emma Elizabeth Garr, la videomaker e fotografa conosciuta nel parcheggio di un supermercato (I Went to the Store One Day) e in breve diventata la signora Tillman.

Mr. and Mrs. Tillman
Già, perché – come avrete saggiamente intuito – Father John Misty è uno pseudonimo. Il nome vero dell'artista è Joshua Tillman (a volte abbreviato in J. Tillman, per confondere ancor più le acque). È nato nel 1981, cresciuto in uno di quei piccoli stati della costa atlantica che si dimenticano sempre quando si fa gara a elencare i 50 united states (“maledetto Maryland!”) e nel suo curriculum ci sono anche quattro anni come batterista dei Fleet Foxes, culminati nella pubblicazione di uno degli album più apprezzati della band, Helplessness Blues (2011).

I Love You, Honeybear è cantautorato molto romantico e molto americano. Anche se non tutte le canzoni sono per Emma o su Emma: tra le eccezioni, ce ne sono alcune delle migliori, come l'urticante The Ideal Husband (listone dei propri difetti) e quella Bored in the USA che nel titolo strizza l'occhiolino a Springsteen, nella forma a Randy Newman (così dicono i recensori) ed è una riuscita e un po' stramba riflessione sulle magagne degli USA (stramba soprattutto perché a un certo punto la sofferta atmosfera pianoforte-voce viene spiazzata e ridicolizzata da finte risate tipo sitcom).

Ammetto che Father John Misty non era la mia prima scelta della settimana. Ho dirottato gli ascolti verso di lui a causa dell'embargo di Bjork e Bob Dylan contro Spotify, su cui non hanno distribuito i rispettivi ultimi album (questo progettino d'ascolto ha un sacco di ferree regole, mica solo l'algoritmo di Metacritic...). Nel complesso è stata una colonna sonora piacevole, che la mia mente confusa ha spesso localizzato in una no man's land tra John Grant e Jens Lekman, senza però mai uscire dal recinto del carino. Le scintille sfavillate con Sleater-Kinney, Verdena e Natalie Prass si sono prese una settimana di vacanza. Alcuni cattivissimi Viet Cong stanno cercando di richiamarle all'ordine.

P.S. Se volete approfondire la conoscenza di Emma, questo è il suo tumblr fotografico. Però, dai, non fate i soliti lothari italiani, lasciate che l'amore trionfi: “for love to find us of all people, I'd never thought it'd be so simple”.

(oltre alle spiazzanti risate, qui ci sono anche un'orchestra e un pianoforte magico)


Canzoni preferite: Chateau Lobby #4 (in C for Two Virgins), The Ideal Husband, Bored In the USA.

In ascolto: Viet Cong (Viet Cong)

Gli album della settimana del 2015:
1. Black Messiah (D'Angelo)
2. Run The Jewels 2 (Run The Jewels)
3. Soused (Scott Walker)
4. Panda Bear Meets The Grim Reaper (Panda Bear)
5. Girls In Peacetime Want To Dance (Belle & Sebastian)
6. No Cities To Love (Sleater-Kinney)
7. Endkadenz vol. 1 (Verdena)
8. Natalie Prass (Natalie Prass)
9. I Love You, Honeybear (Father John Misty)