venerdì, febbraio 20, 2015

Endkadenz vol.1 (Verdena)


In principio c'era l'algoritmo. Un percorso molto semplice guidava le mie scelte dell'album della settimana: vai su Metacritic, prendi l'album più votato tra quelli con almeno venti recensioni, ascoltalo. Poi è sopravvenuto qualche problema. Innanzitutto l'esclusione di alcuni dischi che - seppur non baciati da recensioni stratosferiche - ho comunque voglia d'ascoltare. Esempio: l'ultimo dei Belle & Sebastian. Inoltre, il taglio automatico di qualsiasi artista italiano. Esempio: i Verdena. Perché è inutile girarci troppo attorno: per il mondo oltreconfine, il rock italiano semplicemente non esiste. 

Dunque, già a febbraio la legge è stata emendata. I suggerimenti di Metacritic reggono, ma solo a livello consultivo: la scelta finale dipende anche da altri fattori. Dopo aver dato ennesimo sfoggio della mia insanità mentale, posso dire che il nuovo regime ha già prodotto i primi frutti. Endkadenz vol.1 dei Verdena è un album che sarebbe stato un gran peccato non ascoltare. Un immenso universo di suoni sfavillanti, pronto a essere rimpolpato nei prossimi mesi con l'uscita del secondo capitolo.

Luca Ferrari, Alberto Ferrari e Roberta Sammarelli (fonte: Internazionale)
Di fronte ai dischi doppi, di solito si fanno paragoni. Il primo è quasi obbligatorio: l'album bianco dei Beatles. Per il secondo, più personale, ognuno cita un mammut generazionale di riferimento: The Wall, Sandinista!, Use Your Illusion, fino a Reflektor. Ascoltando il primo volume di Endkadenz, a me viene in mente Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins. Un po' per l'ampio spettro elettroacustico dei brani, un po' per la voce di Alberto Ferrari che – come quella di Billy Corgan – presenta tracce di spigolosacutezza che potrebbero creare problemi a qualche ascoltatore.

Superato il potenziale ostacolo del cantato (e l'ormai classico trauma dei testi nonsense dei Verdena, oltre che di titoli non entusiasmanti come Ho una fissa, Nevischio o Funeralus), Endkadenz vol.1 si rivela una meraviglia. Uno scrigno sonoro da cui a ogni ascolto esce fuori qualcosa di diverso, un frammento di voce-chitarra-basso-batteria-pianoforte-tromba-o-altro che non avevi notato prima e che ti conduce verso una nuova esperienza dell'album, in una sorta di arricchimento perpetuo. Chi scrive è al termine dell'ottavo o nono ascolto e già prevede che ce ne sarà almeno un nono (o decimo).

Il troppo stroppia, è vero, e ho trovato molte dichiarazioni di resa di fronte a un album così denso di contenuti e dettagli. Su Rockol, Claudio Todesco scrive che “dopo un'ora di questi Verdena ci si sente come il musicista della foto che ha ispirato il titolo del disco: sfiniti, coi timpani rotti e la testa ficcata dentro uno strumento”. Al di là dell'immagine iperbolica, la prima ora d'ascolto è in effetti la più difficile. Ma quelle successive garantiscono un piacere che oggi è abbastanza raro. Vivendo sotto il giogo di inquietanti algoritmi filoanglosassoni, non possiedo gli elementi per essere d'accordo o meno con chi afferma che i Verdena sono il meglio del rock italiano contemporaneo. Ciò che posso dire, restringendo il campo, è che mi sembrano oggi i più ispirati – assieme ai Massimo Volume – tra i figli della nidiata toratora degli anni '90 (di cui erano i fratellini minori, esordienti nel 1999).

(videomashup tra il brano Puzzle dei Verdena e il documentario 



Canzoni preferite: Ho una fissa, Puzzle, Contro la ragione

In ascolto: Natalie Prass (Natalie Prass)


Gli album della settimana del 2015:
1. Black Messiah (D'Angelo)
2. Run The Jewels 2 (Run The Jewels)
3. Soused (Scott Walker)
4. Panda Bear Meets The Grim Reaper (Panda Bear)
5. Girls In Peacetime Want To Dance (Belle & Sebastian)
6. No Cities To Love (Sleater-Kinney)
7. Endkadenz vol. 1 (Verdena)