domenica, maggio 04, 2014

Chi compra dischi li ascolta anche o li considera soprattutto un oggetto?


Secondo i risultati di uno studio pubblicato in questi giorni dall'agenzia ICM, il 26% degli acquirenti britannici di dischi tra i 18 e i 24 anni non ha intenzione di ascoltarli, ma semplicemente di possedere l'oggetto. Una percentuale che scende al 15% se si considerano gli acquirenti di tutte le età. La statistica sembra confermare la teoria secondo cui il recente boom dei vinili, in particolare tra le nuove generazioni, non sia esclusivamente dovuto a un ritorno a preferenze d'ascolto tradizionali (in opposizione a musica liquida, MP3, streaming, YouTube), ma piuttosto a ragioni di collezionismo o di status symbol. Che si estendono anche oltre al vinile: realizzata subito prima del Record Store Day (19 aprile), la ricerca segnala infatti un significativo ritorno d'interesse anche nei confronti di un altro formato analogico vintage del Novecento, la musicassetta.

Il passato digitale
Un piccolo excursus. Tra i tanti cortocircuiti generati da Napster e dalla stagione digitale del P2P ce ne fu uno piuttosto evidente che riguardava il rapporto tra download ed effettivo ascolto di musica. Non ho ricerche ICM a disposizione, ma credo che prima del 1999 per la maggior parte delle persone (tranne - forse - i collezionisti più forti) fosse abbastanza naturale acquistare un disco per ascoltarlo: almeno una volta, spesso molte di più. Quando si aprirono i boccaporti del filesharing e si avviò la moltiplicazione degli MP3 gratuiti, questo rapporto venne subito stravolto. Gli utenti web iniziarono a scaricare centinaia di canzoni (prima), album (poi), discografie (infine), ammassando gigabyte di musica sulla memoria rigida del computer, sugli iPod, su hard disk esterni. La percentuale degli MP3 ascoltati rispetto a quelli "scaricati, archiviati & dimenticati" scese rapidamente verso temperature prossime allo zero. Non perché l'utente medio non ascoltasse più musica: molto probabilmente ne ascoltava più di prima. Ma non era fisicamente possibile che riuscisse ad ascoltare tutte le canzoni che il P2P magicamente e quotidianamente materializzava sul suo computer. Da un certo punto di vista, l'avvento dello streaming e il suo progredire rispetto al download hanno contribuito a ricalibrare questo rapporto: non si producono più megavolumi di MP3 inutilizzati (tecnologicamente, non ce n'è più bisogno), si ascoltano i singoli stream e al massimo si esagera un po' nella costruzione di playlist troppo mastodontiche per essere davvero consumate per intero (ehm... ). 

Il presente analogico
Quello che appare interessante è come l'abitudine del "possesso senza ascolto" tipica della prima era del download stia ora abbandonando gradualmente l'universo digitale, per chiudere il cerchio e contagiare - seppure per ragioni diverse - il mondo analogico. Se ne parla già da molto tempo: non sono riuscito a recuperarlo, ma ricordo un articolo di due o tre anni fa relativo all'apertura di nuovi negozi indipendenti di dischi negli Stati Uniti in cui si raccontava di questa nuova fascia di acquirenti giovani che acquistava i vinili pur ammettendo di non avere a casa il piatto su cui farli girare. L'impressione è che il disco (fisico) stia vivendo una radicale trasformazione della sua funzione principale: non più veicolo di musica da ascoltare, bensì oggetto da collezionare (per la propria soddisfazione personale di possesso o per poterlo mostrare agli amici). L'ascolto passa in secondo piano, magari venendo sempre più delegato proprio a YouTube o altri canali via web. Lo scorso 1° aprile, il sito americano NPR confezionò un articolo vuoto per mostrare come gli utenti web ormai spesso si limitino a commentare i titoli delle news senza nemmeno aprirle. Se qualche artista o etichetta burlona decidesse di produrre un disco vuoto o con rumori strani, quale percentuale di acquirenti se ne accorgerebbe? 

Che la propensione all'acquisto derivi dal desiderio di ascoltare, collezionare o rafforzare l'immagine di se stessi che si vuole proiettare attraverso la musica, per la filiera discografica - artisti, etichette, distributori, negozi - si tratta comunque di provvidenziale ossigeno economico (anche se lo studio di ICM sottolinea come i principali canali commerciali a beneficiarne siano i grandi network di vendita online come Amazon a ebay: il trionfo degli aggregatori, as usual...). Ma per la fascia di clienti dai 18 ai 24 anni, il vinile è quasi certamente un oggetto del tutto diverso rispetto a ciò che fu per i loro genitori/zii nella seconda metà del secolo scorso. E la musica si conferma un universo straordinariamente difficile da decifrare, soprattutto in riferimento ai normali parametri "di mercato". Ha regole tutte sue, soggette a trasformazioni continue, spesso rimodellate da comportamenti, abitudini e passioni imprevedibili (che in altri contesti e settori apparirebbero probabilmente incomprensibili). In tutto ciò - come conferma anche l'esplosione delle conversazioni sui social network - l'ascolto musicale vero e proprio è solo una parte, forse nemmeno maggioritaria, del gioco.